Business Insider, media internazionale dotato di un canale YouTube con 4,3 milioni di iscritti, affronta il problema del plasma a pagamento negli Stati Uniti d’America in un servizio di circa 9 minuti ben documentato e in grado di toccare tutte le implicazioni sul mercato del plasma in Usa da noi spesso affrontate in questi anni.
L’approccio è il più possibile equidistante, non c’è una tesi che l’inchiesta vuole imporre come positiva. La raccolta plasma a pagamento è ben inquadrata nel suo contesto e sviluppata nelle sue conseguenze, qualunque esse siano.
Ecco il servizio completo, da vedere assolutamente:
Ecco secondo noi gli argomenti più importanti che vengono affrontati nel servizio, e che i lettori di Buonsangue e Donatorih24 conoscono bene:
Crescita esponenziale del giro d’affari sul plasma fino al 2027
Legame tra situazione d’indigenza e dono del plasma
Concentrazione dei centri di raccolta americani nelle zone più povere e depresse
Normalizzazione della vendita del proprio plasma come fonte di reddito per le famiglie: 104 donazioni l’anno, per 50 dollari fanno 5.200 dollari l’anno di guadagno netto.
Centralità del mercato Usa nello scacchiere mondiale, grazie alla raccolta a pagamento
Rischio di peggioramento della qualità del plasma su un numero ampio di donazioni (plasma diventa sempre meno proteico)
Rischio di assenza o di costi elevatissimi di farmaci plasmaderivati per i pazienti mondiali causa calo di raccolta causa Covid-19
L’Italia, come sappiamo, a oggi è sufficiente sui plasmaderivati al 70%, ed è di gran lunga il migliore dei paesi europei in cui il dono è gratuito, associato, anonimo e volontario. Un bel risultato che si può migliorare, al patto di un impegno sempre crescente da parte di tutti gli attori in campo.
Le associazioni possono dare il via e dettare la linea, possono lavorare sul territorio e organizzare eventi, gestire le donazioni e fare proselitismo, ma non bisogna dimenticare l’importanza dei singoli e del potere che hanno di diffondere i valori del dono in famiglia, tra le cerchie di amici, tra i colleghi.
Per unire al meglio queste due istanze, Fidas Valle d’Aosta ha ideato il primo gruppo di “Ambasciatori del sangue 2021”, cittadini che hanno accettato di impegnarsi per diffondere i valori e le ragioni più importanti che spingono a donare sangue negli ambiti della loro vita e carriera.
Ecco il comunicato stampa di Fidas Valle d’Aosta che spiega l’iniziativa. Noi speriamo che un progetto simile – da sicuro impatto culturale nel medio e lungo periodo – possa prendere piedi in tanti altri posti nel Paese.
“Donatori di sangue della FIDAS Valle d’Aosta con orgoglio presentano il primo gruppo di “Ambasciatori Fidas del dono del sangue 2021 “. I primi sono (da sinistra a destra nella foto in alto): Noemi Junod, Francesco Fida, Piermario Rudda, Gianluca Masullo, Cristina Droz, Stefania Mus, Antonio Foti e Tiziano Schiavinato.
Ad ognuno di loro FIDAS Valle d’Aosta esprime gratitudine e augura buon impegno a favore della promozione e diffusione della cultura del dono del sangue. Chi sono ? Donne e Uomini residenti in Valle d’Aosta, mamme, papà, volontari di associazioni, studenti, sportivi, docenti, pazienti, trapiantati, che hanno accolto la proposta FIDAS e manifestato la loro disponibilità nel promuovere e diffondere la cultura del dono del sangue nei propri ambiti professionale nelle loro cerchie di amicizie e di influenza, diventando Ambasciatori del gesto del DONO del sangue FIDAS. Cosa significa essere Ambasciatore del dono di sangue FIDAS ? Essere Ambasciatore del Dono del sangue FIDAS significa rappresentare un gesto civico di solidarietà, comunicare attraverso la propria testimonianza l’importanza del gesto del dono del sangue, diffondere un impegno civico importante, partecipare alla costruzione di nuove e rinnovate alleanze con appartenenti e o aderenti a categorie professionali o associazioni, stringere relazioni e costruire ponti con ambiti e strati sociali diversi affinché diventi virale e contagioso il dono del sangue.
Essere Ambasciatore del Dono del sangue FIDAS significa esercitare una capacità sociale inclusiva, di libertà, di far lievitare la coesione sociale, di abbattere differenze di ogni genere e di mettere al centro il paziente, al quale offrire speranza di vita. Un compito delicato e importante attraverso il quale vogliamo veicolare il grandissimo valore di un gesto anonimo, gratuito, periodico e responsabile quale appunto quello del dono del sangue.
Donare il sangue è un dovere civico al cospetto del quale nessuno dovrebbe sottrarsi. Tutti possono donare il sangue: è necessario aver compiuto il 18 anno di età, di non aver superato il 60° anno di età, di avere un peso pari o superiore a 50 kg., di godere di un buon stato di salute e di osservare uno stile di vita rispettoso della propria e altrui vita.
Infine, ma non per ultimo, diventare Ambasciatore del dono del sangue FIDAS offre ai cittadini valdostani la grande occasione di conoscere e partecipare alla vita associativa, offrendo a tutti la possibilità di conoscere e confrontarsi con le Istituzioni locali, regionali e nazionali. Offre la possibilità di essere protagonista attivo della grande rete trasfusionale, avendo come importante punto di riferimento il Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale dell’Azienda USL della Valle d’Aosta. Un ruolo esaltante che confidiamo possa essere motivo di impegno attivo per tantissimi giovani, risorse importantissime per un necessario e auspicabile ricambio generazionale. Fidas Valle d’Aosta ripone nel lancio di questa iniziativa grande entusiasmo e confida in una ventata di nuove assunzioni di responsabilità, capace di rappresentare il gesto del dono del sangue di tutti quei tantissimi cittadini residenti in Valle d’Aosta che ancora non sono donatori di sangue.
Era intenzione FIDAS, proporre questa proposta dal vivo con una bellissima serata musicale durante la quale presentare i volti e le emozioni dei nostri Ambasciatori del dono del sangue. Purtroppo l’emergenza pandemica legata al COVID19 e le conseguenti restrizioni hanno dirottato la presentazione degli Ambasciatori in una modalità virtuale. Invitiamo tutti a prendere visione dei link per conoscere i nostri Ambasciatori del dono FIDAS consultando il nostro sito internet www.fidasvda.it oppure seguendoci su Facebook, Twitter, Instagram, LinkedIn, You Tube”.
Per ulteriori info chiama 3488418095 oppure scrivi a fidasvda@gmail.com
Io dono è ho almeno 10 motivi per farlo. E voi? I motivi per donare sangue sono praticamente infiniti, ma un bell’esercizio, non di stile ma equiparabile a una vera e propria call to action, è scegliere quali sono i dieci principali motivi per farlo e per convincere tutti, amici e conoscenti, a farlo a loro volta.
Eccoli qui di seguito, come se fossero i 10 comandamenti del donatore:
Io dono qualcosa di unico
Io dono perché ho scelto di rendere un servizio
Io dono e convinco gli amici a fare lo stesso
Io dono e scopro il mio livello di salute
Io dono e qualcuno lo farà per me
Io dono e salvo vite umane
Io dono e mi sento meglio
Io dono perché posso e ho scelto sani stili di vita
Io dono e conosco il mio gruppo sanguigno
Io dono perché ho a cuore la prevenzione
Come decalogo non è niente male, ma si potrebbero aggiungere davvero tantissime altre ragioni. Ma soprattutto ce n’è una che le raccoglie tutte: se posso fare del bene, perché no?
I virologi televisivi e il plasma iperimmune, un problema di prospettiva. La pandemia da Covid-19 è in corso da ormai un anno, e nel nostro paese la gestione della crisi, a tutti i livelli, non può considerarsi in nessun modo soddisfacente.
Uno dei paradossi più evidenti è stato il proliferare dei virologi televisivi, il cui impiego compulsivo ha finito per generare frastuono e incertezze generali al posto di ciò che ci si aspetterebbe da studiosi, ovvero richiami alla calma e all’approfondimento, e soprattutto la capacità di affrontare i temi dalla migliore prospettiva possibile.
Invece ognuno degli interpellati ha rispolverato l’intuizione di Umberto Eco sull’impossibilità di scrivere una teoria definitiva sui media, e le loro teorie sul Covid-19 sono apparse come una sfilza di “teorie del giovedì mattina”. Imprecisioni, cambi di rotta repentini, autosmentite… non certo un bel vedere.
Il tema del plasma iperimmune è stato uno dei temi che più di ogni altro è stato spesso osteggiato senza motivo, equivocato, violentemente rifiutato. Si cominciò da Ricciardi, che già lo scorso 27 marzo si lasciò andare a una gaffe di notevole portata sul plasma iperimmune e sulla presunta scarsa sicurezza dei plasmaderivati, con una dichiarazione che poteva mettere in difficoltà anni di progressi ottenuti sul piano della raccolta plasma.
A noi, come sempre, quella di Bassetti sembra una prospettiva del tutto errata. Le polarizzazioni ormai tipiche del dibattito mediatico o social tendono continuamente a sviare dalla reale sostanza delle cose. Sul plasma iperimmune, i tanti medici favorevoli non hanno mai pensato che potesse trattarsi di una panacea miracolosa per debellare il covid-19, ma un fattore di aiuto da usare in contesto clinico laddove la situazione lo consigli, e in particolare nelle fasi iniziali della malattia.
Non si capisce perché, se il plasma iperimmune può essere utile a migliorare le condizioni cliniche dei pazienti, com’è avvenuto in modo comprovato e indiscutibile negli ospedali di Mantova e Pavia, dove il suo utilizzo ha ridotto la mortalità in Rsa del 65%, si debba parlare di “false speranze alimentate”. Si tratta di un grave errore di prospettiva per di più commesso da un pulpito di grande risonanza.
Facciamo nostre, dunque le parole di Francesco Menichetti, principal investigator del progetto Tsunami – il più importante studio italiano randomizzato sul plasma iperimmune di cui siamo in attesa dei risultati – che ha spiegato su Donatori h24 un concetto molto semplice: “A chi ne parla in televisione bisogna ricordare che non si può dire né che il plasma non serve a nulla, né che il plasma è un salvavita, infatti non c’è evidenza scientifica per dire nessuna delle due cose”.
Questo è l’approccio serio che ci vorrebbe. Quello che dal dubbio approda a nuove possibilità di conoscenza, e non quello che con certezze ostentate punta solo a fare scalpore.
In seguito all’ingresso a pieno titolo del plasma iperimmune nel dibattito pubblico, in prima pagina sui giornali e come tema di approfondimento nei talk show televisivi – situazione che si è verificata nel pieno della pandemia da Covid-19 – è possibile comunicare direttamente al pubblico la necessità di donare plasma secondo formule e contenuti nuovi e più maturi.
Il Centro nazionale sangue, ha scelto proprio questa strada, pubblicando un video informativo su YouTube che in modo semplice e diretto spiega perfettamente il valore di una semplice donazione di plasma nel contesto attuale.
Ecco il video:
Ora, dopo la fase della realizzazione di un contenuto come questo, sarebbe altrettanto importante una diffusione su larga scala, per esempio, sulle pagine dei media istituzionali più seguiti del panorama nazionale. A quando una campagna congiunta e di responsabilità con dei piccoli spazi e focus messi a disposizione dai giornali e dalle testate nazionali generaliste anche fuori dai momenti di emergenza?
La strada per una consapevolezza collettiva duratura è ancora lunga, ma con la collaborazione di tutti i soggetti sociali si può raggiungere.
Nell?ambito del dibattito scientifico sulle terapie dal più alto potenziale per il nuovo Coronavirus, nessun altra cura più di quella che punta sul plasma iperimmune da pazienti guariti ha interessato e convogliato su di sé l’impegno di medici, ricercatori, istituzioni, aziende e associazioni.
Donatorih24.it ha fatto da centro unificatore di tutta questa attenzione, organizzando la prima videoconferenza in streaming sulla terapia da plasma iperimmune, riunendo allo stesso tavolo di confronto tutti gli stakeholder interessati.
Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro nazionale sangue, Massimo Franchini, direttore del Servizio trasfusionale dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, Gianpietro Briola, presidente nazionale Avis, Alessandro Gringeri, Chief Medical e R&D Officer di Kedrion Biopharma (azienda biofarmaceutica italiana specializzata nella produzione e distribuzione in tutto il mondo di terapie plasma-derivate, che ha contribuito all’iniziativa con un contributo non condizionante), e infine il professor Steven Spitalnik, della Columbia University di New York si sono confrontati apertamente coordinati da Luigi Carletti (direttore responsabile della testata) in una diretta andata in onda lo scorso 16 aprile e che è possibile rivedere integralmente qui:
Tra le certezze emerse dal confronto, oltre all’ottimismo concreto di avere a disposizione una terapia efficace contro la cura in pochi mesi, è apparso chiaro il ruolo fondamentale dei donatori di sangue, su tutto il territorio ma in particolar modo di quelli che agiscono nelle zone più colpite. Saranno loro, infatti, i primi referenti del protocollo di ricerca, che come sappiamo bene ruota attorno agli ospedali lombardi di Pavia, Mantova e Lodi.
Ecco allora, per un quadro esaustivo di ciò he che sta succedendo e potrà succedere, le interviste pubblicate su Donatorih24.it a Oscar Bianchi, presidente di Avis Lombardia;
Alle loro voci il compito di raccontare, direttamente dagli scenari di chi lavora sul campo, la reale temperatura del momento difficile che stiamo vivendo.
La solidarietà del sistema sangue italiano nei confronti dell’estero per l’invio di farmaci plasmaderivati è un’abitudine consolidata. E nelle ultime ore, ecco una nuova notizia importante in tal senso: la Regione Toscana, tramite l’Azienda ospedaliero-universitaria Meyer, ha predisposto una donazione di ben 5,5 milioni di unità di Fattore VIII della coagulazione in favore dell’ospedale Madre Teresa di Calcutta di Tirana in Albania, per la cura dei pazienti emofilici. Il fattore VIII, lo ricordiamo, è farmaco derivato dal plasma, plasma in questo caso raccolto dai donatori italiani.
Il primo commento all’iniziativa è arrivato dall’assessore al diritto alla salute Stefania Saccardi, che ha richiamato in causa il recente aiuto da parte dell’Albania sull’emergenza Coronavirus: “Al gesto dell’Albania che ha inviato medici e infermieri per aiutare l’Italia nel momento più difficile – ha detto la Saccardi – noi rispondiamo con questa donazione, perché anche noi non abbandoniamo mai chi è in difficoltà.L’iniziativa è stata resa possibile grazie al Meyer, che ha fatto da tramite con l’ospedale albanese, e ai tanti generosi donatori, cui va il nostro ringraziamento. La solidarietà tra i popoli, soprattutto nel momento del bisogno, è più di un impegno etico e sociale. E’ un legame che unisce e che spinge a rendersi utili con quello che si ha”.
Anche Simona Carli, direttrice del Centro regionale sangue Toscana, ha commentato con soddisfazione: “In Toscana – Ha detto – è presente una comunità albanese molto numerosa, e da molti anni intratteniamo stretti rapporti, molti albanesi sono donatori periodici, con il coordinamento del Centro Nazionale Sangue tramite l’accordo in essere tra Governo albanese e Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, che assicura tutte le dovute garanzie. La Regione Toscana dal 2018 ha potuto inviare in Albania ogni anno 2 milioni di Unità di Fattore VIII per garantire la cura ai pazienti Emofilici. Quest’anno il Governo albanese ha richiesto la disponibilità della Regione Toscana ad aumentare a 5,5 milioni la quantità da donare. La Regione Toscana ha accolto questa richiesta e invierà in due tranche la quantità indicata. Questo ci è sembrato da sempre un modo per ringraziare i tanti donatori albanesi presenti nelle nostre comunità, farli sentire utili anche per i loro connazionali rimasti in Patria e, in questo momento specifico, ringraziare per il prezioso aiuto che l’Albania ha generosamente dato all’Italia in piena emergenza Coronavirus. E’ doveroso un ringraziamento al Centro di Salute Globale della Regione Toscana e un ringraziamento particolare alla ditta Kedrion che gratuitamente assicura il trasporto del materiale in Albania, spesa che sarebbe altrimenti a carico di quel paese.
I nostri donatori possono essere sicuri che niente viene sprecato di quanto da loro donato e che i valori etici di solidarietà e cooperazione alla base del loro gesto sono valorizzati”.
La dottoressa Carli spiega dunque la funzione di Kedrion Biopharma, azienda italiana produttrice di farmaci plasma-derivati, che ha contribuito curando gli aspetti logistici e sostenendo i costi di spedizione. Il perché lo ha spiegato Danilo Medica, Italy Country Manager di Kedrion: “Questa iniziativa è un esempio di come si possa collaborare per dare un supporto concreto a chi ha più bisogno di cure, soprattutto in un momento così delicato come quello che stiamo vivendo. Per noi essere a fianco della Toscana e poter aiutare l’Albania e così contribuire a servire le comunità di pazienti in quel Paese è una grande opportunità”.
Si fortifica dunque la collaborazione tra l’Italia e l’Albania dopo l’arrivo, nei giorni scorsi, di trenta medici e infermieri albanesi per combattere il Coronavirus, un aspetto che, in merito all’invio dei medicinali, ha voluto sottolineare con orgoglio anche Gianpiero Briola, presidente di Avis nazionale e coordinatore Civis: “L’invio delle unità di Fattore VIII in Albania per curare i pazienti emofilici è la dimostrazione di come, nonostante le difficoltà generate in tutto il mondo dalla diffusione del Coronavirus, la solidarietà e la sensibilità dei donatori italiani non si interrompa – ha detto Briola – la donazione del plasma, e quanto fatto dalla Toscana lo conferma, è un gesto prezioso soprattutto in un periodo storico così delicato. La vicinanza tra i nostri popoli, dopo l’arrivo in Italia dei medici e degli infermieri albanesi per supportare il nostro personale sanitario nell’assistenza ai pazienti contagiati dal Covid, è oggi ancora più stretta”.
L’autorizzazione è arrivata attraverso una circolare emessa venerdì 27 marzo dal titolo “Raccomandazioni per la gestione dei pazienti immunodepressi residenti nel nostro Paese in corso di emergenza da COVID-19”. Le raccomandazioni sono necessarie in quanto ancora non esiste una letteratura scientifica di lunga data su questa pratica, ma la circolare leggibile nella sua interezza a questo cliccando su questo link dice che:
“Nei pazienti con deficit dell’immunità umorale che sviluppino un quadro di Covid-19, si può prendere in considerazione la possibilità di procedere all’infusione di plasma di soggetti convalescenti che abbiano superato l’infezione da Covid-19. Il soggetto donatore dovrà compiutamente rispondere ai requisiti previsti dalla normativa vigente per la donazione di emocomponenti”.
Ci auguriamo con forza che il plasma dei pazienti già guariti risulti efficace, anche perché dalla testimonianza web, su Youtube, di Gianpietro Briola (da noi intervistato qualche giorno fa), in dialogo con Alessandro Lucchini sul canale “Palestra della scrittura”, in Lombardia la situazione degli ultimi giorni, sebbene in lieve miglioramento, è stata davvero difficile.
Consigliamo a tutti di vedere questo video, nel quale Briola, che non è soltanto Presidente di Avis Nazionale ma anche primario Pronto Soccorso ASST del Garda, racconta i momenti difficili vissuti in reparto, e fa il punto, con competenza e lucidità, sul presente e il futuro della pandemia da Coronavirus e della situazione sanitaria nazionale.
Ieri su Buonsangue abbiamo riportato le dichiarazioni – per noi alquanto superficiali – che Walter Ricciardi membro dell’esecutivo dell’Oms e consulente del ministero della Salute, ha rilasciato a PresaDiretta a proposito della terapia anti – Covid 19 attualmente in studio negli ospedali lombardi, e basata sulle proprietà del plasma dei pazienti guariti e presumibilmente ricco di anticorpi: “I plasmaderivati sono qualcosa che poi in passato ha riservato delle brutte sorprese”, si è lasciato sfuggire Ricciardi, mettendo a rischio tanti anni di informazione sui grandi passi avanti negli ultimi decenni sul piano della sicurezza trasfusionale.
Con puntualità, ci è arrivata la precisazione di Gianpietro Briola, presidente nazionale Avis, da noi intervistato sulla situazione del sistema sangue in piena emergenza Coronavirus solo pochi giorni fa, il 23 marzo. Ecco le parole di Briola. “Il plasma raccolto, così come il sangue e tutti gli emocomponenti, vengono sottoposti a rigidi controlli che rispettano i più elevati standard di qualità e sicurezza. Per questo, non ci sono rischi derivanti dalla loro somministrazione ai pazienti. Il prof. Ricciardi si riferisce ad un’epoca passata nella quale non vi erano test per le malattie trasmissibili e non vi erano tecnologie adeguata all’inattivazione virale del plasma. Per quanto riguarda, invece, la possibilità di curare le persone affette da Coronavirus con il plasma di individui guariti, si tratta al momento di terapie sperimentali e bisogna, quindi, procedere con cautela prima di poter affermare con certezza la loro assoluta e comprovata validità. Diamo il tempo a ricercatori, clinici e scienziati di compiere gli studi necessari per arrivare ad una strategia e possibilità terapeutica certa”.
Sullo stesso tema, sempre Avis, peraltro, già il 19 febbraio aveva pubblicato un’intervista a Giancarlo Liumbruno, direttore del Centro nazionale sangue, che spiega in modo chiaro e pertinente le ragioni per cui il protocollo di studi sul plasma avrà bisogno di essere testato. Ecco il passaggio in questione: “Seppur già sperimentata nel 2016 per debellare Ebola, questa tecnica non deve però disorientare. Come ha spiegato il direttore del Centro nazionale sangue, Giancarlo Liumbruno, «si tratta di terapie empiriche che ogni tanto vengono riproposte non tanto a livello sperimentale, ma proprio perché non si sa bene in quale direzione muoversi». Quello su cui punta l’attenzione Liumbruno è l’impossibilità di considerare definitivo un intervento simile: «Le limitazioni sono molte ed è anche piuttosto scarsa l’evidenza dei risultati. È vero che i pazienti guariti, in questo caso da Coronavirus, hanno sviluppato anticorpi specifici, ma è altrettanto vero che il loro plasma potrebbe riportare valori non proprio ottimali per una somministrazione, motivo per cui non si può considerare come una terapia efficace per qualsiasi tipo di infezione».
Un peso specifico diverso, con concetti che non rimandano a ragioni irrealistiche o a periodi culturalmente superati, ma indicano criticità concrete di valore medico-scientifico. In pieno rispetto del pubblico e della verità.
Nelle settimane di crisi cinese la possibilità era già stata attivata e presa in considerazione, e con l’arrivo della delegazione di medici cinesi in Italia a soccorso della task forze italiana è nato un protocollo che sarà sviluppato in Lombardia, affinché una cura a base di plasma sia utilizzabile quanto prima.
La ratio, è che nel plasma dei pazienti guariti dovrebbero agire un numero e una tipologia di anticorpi in grado di entrare in azione prontamente e limitare le infezioni virali nei casi più gravi: in questo modo, sfruttando il dono dei pazienti guariti verso i malati, si potrebbe davvero fare un grosso passo verso il contenimento dell’epidemia.
Su Buonsangue abbiamo raccontato spesso come il sangue sia la carta d’identità del nostro organismo, e di come la ricerca scientifica lo metta con grande frequenza al centro dei suoi processi. Poter usare il plasma ei guariti è solo un ulteriore motivo per riconoscere al plasma la sua importanza come materia biologica primaria nella produzione di farmaci salvavita, ma aldilà del trasporto emotivo cui ci costringono le circostanze sarà davvero importante cogliere questa occasione in cui la parola “plasma” entra in modo così prepotente nel dibattito pubblico quotidiano, per far sì, nei prossimi mesi, che il grande pubblico possa abituarsi alla plasmaferesi come pratica di dono alla pari con quella del sangue intero, assolutamente equiparabile in quanto a valore oggettivo per la comunità, se non addirittura più preziosa.
Già oggi il plasma è al centro di dibattiti internazionali perché la sua raccolta ha un valore economico potenzialmente enorme nei paesi come gli USA, ma noi italiano sappiamo che i valori condivisi del dono non possono che rispecchiarsi in quelli del nostro sistema trasfusionale, secondo cui il dono è anonimo, gratuito, volontario, associato e organizzato: l’esperienza drammatica che stiamo vivendo in questi giorni, con il Sistema Sanitario Nazionale impegnato a curare tutti i cittadini bisognosi, non fa altro che rafforzare la certezza che l’accesso alle cure deve essere assicurata indistintamente a tutti i pazienti, attraverso una raccolta nazionale che esuli da ragioni economiche.